cronachemaceratesi.it venerdì 28 febbraio 2014

Il ritorno di Alberto Radius con “Banca d’Italia”

Il noto chitarrista della Formula 3 torna come solista, a distanza di dieci anni dal suo ultimo disco.

di William Molducci

......Countdown si avvale di una batteria virtuale ripetitiva, con interventi massicci di chitarra elettrica, combinati insieme ad archi e violini, in una sorta di rapsodia di antica memoria (La grande casa), vestita con i validi testi di Tullio Pizzorno.

Una domanda a Tullio Pizzorno, autore dei testi di cinque brani di Banca d’Italia:
Da qualche settimana è uscito il nuovo album di Alberto Radius, dove tu hai scritto i testi di cinque brani, tra cui Talent show, Dusserdolf, Faccio finta che ci sei e Dimmi chi ha vinto, che si possono ritenere tra i più significativi. Vuoi parlarci di questo lavoro, che, dopo la scomparsa di Oscar Avogadro ha permesso a Radius di completare un progetto fermo da anni?

Conosco Radius dagli inizi degli anni novanta, ma lo stimo musicalmente fin dalla mia adolescenza, perché amo da sempre Battisti e il mio strumento principale è la chitarra, quindi era normale che amassi anche Radius; poi mi proposi a lui in quanto produttore, e subito scoccò la scintilla di interesse da parte dell’allora nascente RTI music, per cui si decise che dovessi andare a Sanremo nel 1993 come cantautore. Mi dissero però che la musica era 10 e lode ma i miei testi a quel tempo non le rendevano merito, e allora Alberto mi mise dapprima in contatto con un bravissimo autore di testi, Sergio Contin (Nomadi, Kuzminac, etc), poi alla fine mi presentò direttamente il nostro compianto amico Oscar Avogadro.
Nel mio periodo a Milano Radius al mattino mi accompagnava a Mombretto a casa di Oscar per farmi lavorare con lui, e la sera veniva a riprendermi. Inutile dire che la giornata con Oscar, più che a lavorare, la passavamo a raccontarci cose e andare a pranzo assieme (una volta a Peschiera Borromeo pranzammo pure insieme a Bruno Lauzi – ero al centro di una dimensione che allora il ragazzo che ero aveva sempre sognato), poi solo nell’ultima mezzora della giornata con Oscar lavoravamo per tirar giù le bozze di nuovi testi, poco prima che Radius venisse a riprendermi (questo Alberto non lo sa ☺).

Quanto all’ultimo lavoro di Radius, adesso, dopo vent’anni… mi è venuto naturale trasformare in testi tutto quello che assorbii stando accanto ad Oscar, tanto da dedicargli uno dei brani più belli dell’album, Faccio finta che ci sei, che Alberto ama tantissimo. Poi c’è pure la presa di coscienza allo stesso tempo politica e non politica, che ci riguarda un po’ tutti, in Dimmi chi ha vinto. In Dusseldorf ho immaginato la storia di un manager sempre fuori in viaggio che si costruisce una doppia vita all’estero, e in Talent Show mi sono proprio divertito a fare ironia su questi macelli musicali di oggi, e Alberto era l’unico ad avere il piglio adatto per capirlo e rappresentarlo: “ho lo stomaco vuoto ma valeva la spesa per il book delle foto”.
Ho anche un altro brano che è di una sintesi pazzesca: in “Count Down”, in solo 3 minuti di canzone, c’è un astronauta che parte, arriva nello spazio, guarda il mondo nella sua piccolezza, poi torna sulla terra e capisce di essere cambiato: ” là è l’Afghanistan, terra di sabbia bruciata di fuoco e da qui che senso ha…”; mah, forse pensavo a Parmitano (astronauta italiano n.d.r.).

ONDAROCK (12/05/2014)

Alberto Radius

Banca d'Italia

2013 (Videoradio/Self)

Articolo

di Marco Bercella

...Rimasto orfano del fido paroliere e amico Oscar Avogadro ad opera da poco iniziata, per completare l’album Alberto si è preso il tempo di chi non ha fretta di dimostrare per forza qualcosa, rispolverando i provini di trent’anni di musica, affidando i testi che Avogadro non ha potuto scrivere alla penna di Tullio Pizzorno...

Sempre a proposito di emozioni, l’amico paroliere viene tributato come si conviene in “Faccio finta che ci sei”, che è poi il pensiero guida di tutto l’album: dissimulata in un funkettone elettronico, è la penna di Tullio Pizzorno eterodiretta dall’affetto di Alberto a scandire il più sentito dei ricordi: “Oscar vivi dentro alle tue parole, e se la musica non c’è, anche il mio silenzio si può cantare, così com’è… dopo una sigaretta, e dopo un’altra e un’altra in più, nasce la prima strofa e un ritornello forte, tanto forte che poi ci beviamo su…” , il tutto citando nel mezzo i titoli di “Ricette”, “Celebrai “, “Nel ghetto”, le tappe di un sodalizio cruciale.
Ma non c’è Radius senza beffa, e allora eccola nel sarcastico samba rock di “Talent show”


L'ITALOAMERICANO

Articolo di William Molducci | May 08, 2014

Tullio Pizzorno, compositore e autore: dalla musica da film alle collaborazioni con la grande Mina

Tullio Pizzorno è un compositore e autore a 360 gradi, che nel suo percorso ha collaborato con numerosi artisti di primo piano e che ha portato avanti una sua carriera da solista. L’Italo Americano lo ha incontrato in occasione dell'uscita di Banca d'Italia, l'ultimo album di Alberto Radius, di cui Tullio ha scritto le parole di cinque brani.

La sua disponibilità ci ha messi facilmente in contatto e questa è stata l'occasione per scoprire un artista e il suo mondo, le sue collaborazioni importanti, quella con Mina in primis (Di vista, Musica per lui e La fretta nel vestito), senza dimenticare le canzoni scritte per Linda e i Collage, la musica da film, il jazz, l'incontro con Gino Vannelli e il lavoro con Niels Lan Doky. Nel mese di maggio uscirà il suo sesto e nuovo lavoro discografico, intitolato Charisma.

Ha scritto canzoni per Mina, che sono state incise nei suoi album Pappa di latte (1995), Cremona (1996) e Bula Bula (2005), dove è messa in evidenza l’anima jazz. Com’è nata questa collaborazione?


Direi, all'inverso, che proprio una delle sue mille anime, forse quella più funk-jazz, ravvisò nei miei lavori questa incredibile identificazione. Mina mi telefonò personalmente quattro anni dopo il mio invio di una cassetta; stentavo a credere alle mie orecchie, ma poi mi lesse i titoli di alcuni brani contenuti sul nastro, quindi solo la vera Mina poteva esserne a conoscenza e doveva essere per forza lei. Da lì nacque tutto; mi disse espressamente che le piaceva il mio mondo musicale e mi chiese altro materiale; quindi iniziammo a lavorare. 

È curioso come a tutt'oggi le canzoni, per le quali mi aveva telefonato, che erano sul primo nastro, non le abbia ancora incise. In totale comunque ora “possiede” circa una ventina di mie canzoni.

Recentemente è uscito il nuovo album di Alberto Radius, dove ha scritto i testi di cinque brani. Questo, dopo la scomparsa di Oscar Avogadro, suo paroliere storico, ha permesso a Radius di completare un progetto fermo da anni.


Conosco Radius dagli inizi degli anni novanta, ma lo stimo musicalmente fin dalla mia adolescenza, perché amo da sempre Battisti e il mio strumento principale è la chitarra, quindi era normale che amassi anche Radius. Poi mi proposi a lui in quanto produttore, e subito scoccò la scintilla di interesse da parte dell’allora nascente Rti music. 

Quanto all’ultimo lavoro di Radius, ora, dopo vent’anni… mi è venuto naturale trasformare in testi tutto quello che assorbii stando accanto ad Oscar, tanto da dedicargli uno dei brani più belli dell’album (“Faccio finta che ci sei”).

In “Dusseldorf” ho immaginato la storia di un manager sempre fuori, in viaggio, che si costruisce una doppia vita all’estero, e in Talent Show mi sono proprio divertito a fare ironia su questi macelli musicali di oggi, e Alberto era l’unico ad avere il piglio adatto per capirlo e rappresentarlo: “ho lo stomaco vuoto ma valeva la spesa per il book delle foto".

Ho anche un altro brano che è di una sintesi pazzesca: in “Count Down”, in soli tre minuti di canzone, c’è un astronauta che parte, arriva nello spazio, guarda il mondo nella sua piccolezza, poi torna sulla Terra e capisce di essere cambiato. Forse pensavo a Luca Parmitano (astronauta italiano n.d.r.).

Quindi il vostro rapporto di lavoro risale ai tempi della Rti?


In effetti fu proprio da quei provini per la Rti che cominciammo a lavorare insieme. Il top mi accadde quando una volta, mentre andava l’ascolto di un mio brano, Alberto venne a chiamarmi dalla stanza accanto allo studio dove c’era una persona che voleva sapere di chi fosse quella musica… quando entrai nella stanza e vidi Lucio Battisti, intento a scartabellare fogli,… rimasi di pietra. Lui non alzò nemmeno lo sguardo ma disse a voce bassissima: “Vai, vai… continua”.

Come ha conosciuto il grande musicista italo-canadese Gino Vannelli?


Gino, lo conosco musicalmente da una vita, ed è per me una vera scuola di armonia musicale. Ho avuto la fortuna di conoscerlo personalmente nel 2000, grazie al mio caro amico Fabrizio, direttore artistico dell' Eddie Lang Jazz Festival. Ho incontrato Gino nel pieno del suo "rilancio" jazz, ai tempi di Yonder Tree, quando era, tra l'altro, accompagnato pure da due terzi degli Uzeb (storica band jazz fusion); insieme a lui ebbi modo di conoscere Alain Caron e Paul Brochu, ma anche il percussionista Luc Boivin, col quale poi siamo rimasti in contatto. Devo poi a Gino l'incontro con Niels Lan Doky, pianista di gran classe, con uno stile a metà tra Bill Evans e Oscar Peterson. 
Con Niels ho collaborato alla realizzazione di “Italian ballads”, un disco di canzoni classiche italiane in versione strumentale, in trio jazz (piano, batteria, contrabbasso). 

Niels Lan Doky mi chiese una mano a scegliere i brani, ma poi volle includere tra questi classici anche una mia canzone. In precedenza avevo inciso due provini sulle basi realizzate proprio da Gino e Niels, dove avevo cantato "Close your eyes" e "Parole per mio padre" (entrambe tratte dall'album Haitek Haiku di Niels, la seconda col testo di Pino Daniele).